Politica culturale da ripensare, ad Asti come a livello di area vasta. Occorre aprire un ampio confronto,serio e approfondito, a livello comunale e provinciale e restituire agli organismi elettivi le scelte e le linee di indirizzo in campo culturale.
La candidatura a Capitale della Cultura, utile, ma tardiva e affrettata, ha offerto l’occasione per un censimento delle cose che si fanno, ma non ha prodotto un vero e proprio progetto di sviluppo delle politiche culturali.
Ora ci troviamo a conclusione di un’altra in gran parte deludente (per ammissione degli stessi responsabili) stagione di eventi estivi sotto tono, sia dal punto di vista della qualità che, di conseguenza, da quello della risposta dei media e del pubblico.
Si impone, secondo noi, la necessità dell’apertura di un confronto sulle linee strategiche che si intendono delineare per il futuro in materia di politica culturale, dell’accoglienza e della comunicazione, nel capoluogo come in Provincia.
Un confronto che si ritiene urgente in quanto tra meno di due mesi scadrà la convenzione tra Comune di Asti e Fondazione Asti Musei, che negli ultimi anni ha di fatto espropriato il Comune di Asti e di conseguenza gli organismi democraticamente eletti dai cittadini da ogni possibilità di intervento in materia di politiche culturali di breve, medio e lungo periodo relative al patrimonio museale, alla offerta culturale, in totale assenza di ricerca e progettualità e senza il benché minimo incremento di occupazione qualificata in un ambito definito strategico ad ogni pie’ sospinto.
Basti citare il fatto che una Fondazione come Asti Musei cui si cede in comodato il proprio patrimonio artistico, immobiliare e mobiliare, e si delega totalmente la politica museale e dell’offerta di mostre, non ha neppure un direttore e non elabora il benché minimo progetto, ma si limita ad acquistare a scatola chiusa pacchetti offerti da circuiti commerciali neppure di altissimo livello, salvo rarissimi e comunque discutibili casi.
Se il soggetto Fondazione può essere considerato tuttora, da un punto di vista meramente gestionale, uno strumento adeguato e tuttavia migliorabile, la convenzione in scadenza che regola i rapporti tra i soci e delinea i criteri di funzionamento, presenta problemi oggettivi al limite della legittimità che impongono una profonda revisione in vista di un eventuale suo rinnovo.
La Fondazione è uno strumento tecnico e in quanto strumento deve essere utilizzato sulla base di scelte e direttive che devono essere originate dagli organismi elettivi che invece sono state negli ultimi anni totalmente delegate ad un soggetto terzo che sfugge ad ogni confronto e controllo di tipo democratico facendo riferimento in modo praticamente esclusivo alla Fondazione CrAt in quanto socio fondatore e finanziatore.
Ma il caso della convenzione Asti Musei non è che uno dei temi da affrontare.
Il caso della Fondazione Centro Studi Alfieriani ha dell’incredibile. È stata inopinatamente commissariata oltre due anni e mezzo fa ed è praticamente alla paralisi con grave danno per un patrimonio di notevolissimo valore e per le mancate ricadute che potrebbe generare. In sede di revisione della convenzione Asti Musei proprio il tema Palazzo Alfieri (proprietà del Comune) e Museo Alfieriano (patrimonio della Fondazione) andrà ricondotto sui binari della correttezza istituzionale e amministrativa. E la città prima o poi, al di la delle citazioni spesso fuori luogo di Vittorio Alfieri, dovrà dire con chiarezza che cosa intende fare in materia.
Altro tema importante riguarda il tema della lettura e quindi della Fondazione Biblioteca Astense del sistema bibliotecario provinciale che ad essa fa capo , anche se la Provincia non ne fa più parte. Quale importanza e quale ruolo si attribuirà negli anni a venire al servizio pubblico di diffusione del libro? Che tipo di investimenti si intendono fare a livello di città capoluogo e a livello provinciale? Quale progettualità si intende stimolare e mettere in campo.
Rassegne estive – C’era una volta una città che pomposamente si definiva Città -Festival, ma di festival non c’è traccia. Ci sono memorie, sforzi benemeriti, rassegne più o meno riuscite, cartelloni estivi. Ma i festival sono altra cosa ed appare urgente discuterne a fondo. La città ha vissuto esperienze importanti che hanno lasciato segni. Occorre ripartire da ciò che è stato ed è tenendo anche conto delle cose positive (Passpartout) o dei tentativi di arricchimento più o meno riusciti nella scelta dei tempi e delle collocazioni in campo musicale nell’ottica di diversificare l’offerta dal pop ad altri generi.
Aprire un dibattito non significa giudicare tutto negativamente, ma è un invito a chiederci che cosa vogliamo fare e dove vogliamo andare. Vogliamo fare delle rassegne estive o vogliamo fare uno o più Festival. Bisogna scegliere.
Una rassegna e’ la cosa più semplice da fare basta sapere a che pubblico ci si rivolge e quanto si ha da spendere.
Altra cosa è fare un festival. Il festival deve creare confronto e attesa, proporre anticipazioni, stuzzicare l’interesse della critica e la curiosità dei protagonisti. Richiede una capacità di elaborazione,un radicamento e una capacità di attrazione di un pubblico selezionato ben diversi.
Asti e provincia hanno avuto esperienze positive in entrambi i campi. Esiste una disponibilità all’autocritica e volontà di mettersi in gioco nel campo della ricerca per ripartire?
Ultimo tema perché impegnare tempo, persone e risorse economiche in un campo cosi complesso, lasciando per ora in disparte il tema dei luoghi della cultura e quello dell’università altrettanto se non ancora più importanti.
Perché fare cultura non deve solo voler dire intrattenere o fare marketing a favore di ipotetici turisti. Deve significare offrire nuovi servizi per far crescere intellettualmente i cittadini offrendo loro pari opportunità di accesso a nuove professioni, migliorando la propria condizione di vita.
Fare cultura impegnando enti e fondi pubblici non può voler dire soltanto creare occasioni di svago, ma deve offrire reali possibilità di migliorare la propria condizione di vita e creare opportunità di occupazione qualificata.
Fare cultura significa anche creare nuovi posti di lavoro e quindi ricadute economiche tangibili sul territori. Cosa che ad Asti non è accaduta finora.
1 commento